Etichettato: fuoco

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(Hubert Robert, Il grande incendio di Roma)

Anche la civiltà è un guscio, anzi, è una concrezione formata da altri gusci, a loro volta composti da altri gusci.

Guardiamo ad esempio una città, che possiamo ben indicare come il simbolo stesso della civiltà: un gigantesco involucro, che protegge e tiene stretti in sé gli abitanti che la compongono.
A sua volta la città è composta da edifici; scatole chiuse che rappresentano altrettanti gruppi chiusi: principalmente famiglie, ma anche gruppi di lavoro, congregazioni religiose e altri piccoli gruppi di vario genere. Il gruppo e l’edificio sono due modi di manifestarsi del medesimo guscio.
E come abbiamo visto, non è vero che anche i singoli individui che compongono quei gruppi devono la propria unicità, la propria essenza, proprio ad un guscio che li distingue dagli altri uomini? Il guscio che dà la forma esteriore all’anima di un uomo è formato da personalità, ricordi, convinzioni, speranze, aspettative.
Basta che una bronza di larice venga lasciata senza sorveglianza nel cuore d’un uomo: il suo fuoco infido scioglierà prima i vincoli che tengono serrato il fuoco della sua anima; poi quel fuoco si ingrosserà, propagandosi agli edifici ed alle famiglie, alle fabbriche, alle scuole, alle chiese, trovando sempre nuovo combustibile, fino a crescere in un incendio che devasta la città intera.
Per fondare una civiltà è necessario che un’altra abbia termine; affinché nasca una città bisogna prima che ne bruci un’altra. Per poter dar vita a Roma è stato necessario prima sciogliere Troia.

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4

 

Anche la parola viva si calcifica, irrigidendosi nella forma immutabile del libro: il racconto diventa storia, ed il passato non è più libero di dissolversi, ma rimane fissato nella carta, facendosi pesante ed ingombrante, se non insopportabile.
Prendi con una pinza d’argento la brace di larice, e lasciala cadere su un libro; in pochi secondi vedrai la carta sbuffare fumo, per poi esplodere in una liberatoria e distruttiva fiammata.
È tutto qui? il calore d’un momento, un fuoco troppo breve per scaldarsi, e poi soltanto cenere? Dove sono finite le parole, le frasi, i precetti del libro? Nemmeno l’occhio più fine riesce a scorgere le lettere stampate mentre si liberano nell’aria, tanto sono frammiste al greve fumo della carta.
Eppure pare impossibile che le idee possano venir distrutte da un fuoco: dove finiscono, dunque?

 

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19

 

La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale, né occidentale, il cui olio sembra illuminare, senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce.
(Corano, Sura XXIV An-Nur / Christos Bokoros, l’ombra dell’ulivo)

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14

 

“Lascia ogni ipocrita astuzia, o amante, diventa pazzo, diventa pazzo!
Entra nel mezzo del fuoco, diventa falena, diventa falena!
Rendi te stesso estraneo, distruggi la casa, e poi vieni, e, con gli amanti, dividi la casa, dividi la casa!
Va, e il petto tuo con acqua purissima lava e rilava da ogni malizia, e poi, pel vino d’amore, diventa calice, diventa calice!
Bisogna che tutt’anima divenga per essere degno dell’Amato dell’Anima, e, se verso gli ebbri vai, vacci da ebbro, vacci da ebbro!”
(Rumi)

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4

 

“Non siamo forse figli degli Dèi? Perché allora gli Dèi non possono essere nostri figli?
Se il Dio mio padre dovesse morire, un Dio figlio sorgerà dal mio cuore materno, perché io amo Dio e non voglio abbandonarlo.
Solamente chi ama Dio può farlo cadere, e Dio si arrende a chi l’ha sconfitto e si annida nelle sue mani, e muore nel cuore di colui che lo ama e che gli promette la nascita.
Mio Dio, ti amo come una madre ama il nascituro che ella porta nel cuore.
Cresci nell’uovo dell’Est, nutriti del mio amore, bevi il succo della mia vita così che tu possa diventare un Dio splendente. Abbiamo bisogno della tua luce, figlio.
Siccome vaghiamo nell’oscurità, dona luce ai nostri cammini. Possa la tua luce brillare dinnanzi a noi, possa il tuo fuoco riscaldare il gelo delle nostre vite.
Non abbiamo bisogno del tuo potere, ma della vita.”
(C. G. Jung, Liber Novus)

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3

La coppa rappresenta un contenitore che riceve in sè la forza divina. Soltanto un cavaliere dal cuore puro può ricevere il Graal: il Graal è infatti proprio quel cuore puro, capace di ricevere in sè il fuoco di Dio.

Per un peccatore, il fuoco divino è il tormento dell’Inferno, mentre per un credente lo stesso fuoco è il processo di purificazione del Purgatorio; ed è ancora lo stesso fuoco ad essere per il santo la beatifica contemplazione di Dio nel Paradiso. Il fuoco divino rimane sempre il medesimo: a cambiare nei tre casi è la disposizione dell’uomo, che può variare dall’ostinata opposizione alla sottomissione più completa.

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12

Soltanto agli occhi del peccatore il fuoco dell’Inferno è una punizione; le sue fiamme sono anche, e soprattutto, un mezzo di purificazione. Per l’uomo giusto le pene dell’inferno diventano infatti le prove del purgatorio. E quello stesso calore che gli altri percepiscono come insopportabile è sentito dal santo come l’amore di Dio che splende nel Paradiso.

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11

Il fuoco è la prova dell’oro, la sventura quella dell’uomo forte.
(Seneca)

Ma Sadràch, Mesàch e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: “Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto”. Allora Nabucodònosor, acceso d’ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli nella fornace con il fuoco acceso. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso.
Ma quegli uomini, che dietro il severo comando del re avevano acceso al massimo la fornace per gettarvi Sadràch, Mesàch e Abdènego, rimasero uccisi dalle fiamme, nel momento stesso che i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego cadevano legati nella fornace con il fuoco acceso.
Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore.
(Daniele 3:16-24)

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