Cieli Neri – recensione
“Che immagini evocano i versi scintillanti di stelle nella testa di chi non ha mai fatto esperienza della notte? Un bambino cresciuto senza stelle è capace di sognare altri mondi? Di volere bene al proprio? La «nebbia luminosa» che ogni notte striscia oltre la linea dell’orizzonte cancellando le stelle somiglia al Nulla che ne La storia infinita divora il mondo di Fantàsia: entrambi uccidono bellezza e poesia.“
Irene Borgna, Cieli neri – come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte (Casa editrice Ponte alle Grazie)

L’inquinamento luminoso è un problema a cui mi interesso da diversi anni, per cui quando ho visto questo titolo fra le nuove uscite di questo periodo, non me lo sono fatto sfuggire. Qui trovate la scheda del libro, sul sito della casa editrice.
Il libro di Irene Borgna è una poetica accusa contro la luminosa arroganza del nostro mondo tecnologico. La luce elettrica, dal momento della sua scoperta fino a oggi, ha comportato un vero e proprio diluvio di luce che si è sparso in tutte le terre. Dapprima seguendo le direttrici del commercio: nelle grandi città, lungo le autostrade, nei mercati e negli stadi. Ma la penetrazione luminosa ha continuato fino a raggiungere livelli capillari, raggiungendo persino le campagne e le valli montane più isolate. Un’ostentazione sfrontata di chiarore, come a ribadire l’insonne potere del progresso, una spinta a metà fra la forza e la compulsione.
La luce artificiale, però, non ha dilagato soltanto in terra, ma ben presto ha iniziato a conquistare il cielo. Lumi eccessivi, progettati male, senza schermi nè direzioni. Le città riverberano e riflettono, diventano simili a grandi fari che innalzano un chiarore innaturale nel cuore della notte. Sopra le case si leva una nube lattiginosa, rossastra, dai contorni lividi: è l’inquinamento luminoso, il riflesso nella notte dell’omologazione schiacciante che piaga la nostra cultura. Un mostro senza volto nè anima, che divora le stelle e cancella l’antica e travolgente poesia del firmamento.
Per sfuggire a questo incubo, Irene Borgna ci porta in un viaggio attraverso l’Europa, alla ricerca delle oasi in cui la luce elettrica è stata regolamentata, addirittura bandita, per permettere allo spettacolo delle stelle di giungere fino agli occhi assetati di sognatori, poeti e astrofili. Dal Canton Ticino all’Austria, nei parchi tedeschi e nei Paesi Bassi, ma anche fra le cime delle alpi nostrane: l’autrice ci fa scoprire che esistono ancora riserve che non si arrendono al diktat dell’illuminazione, e che non sono pochi gli appassionati e le organizzazioni che lottano per arginarne gli effetti più deleteri.
Mescolando sapientemente il racconto di viaggio e la divulgazione, il libro risulta pieno di informazioni, ma allo stesso tempo scorre con leggerezza e non manca di divertire il lettore. Fra un’avventura e l’altra, si impara come l’inquinamento luminoso faccia male all’uomo – disturbando i ritmi giornalieri del corpo e della mente – ma anche agli animali, confondendo e disorientando insetti e uccelli viaggiatori. Ma non solo: un’illuminazione eccessiva e sprecona porta per forza a un dispendio energetico, e a una maggior emissione di anidride carbonica nell’atmosfera.
Si tratta di problemi concreti e gravi, a dimostrazione che a uno sfregio nella bellezza poetica del mondo corrisponde il più delle volte una dannosa disarmonia a livello concreto. Ma una delle caratteristiche che più ho apprezzato di Cieli Neri è nel saper riconoscere che il coinvolgimento emotivo e simbolico rappresentato dal cielo stellato pristino è un valore in sè e di per sè. Il libro è un atto di accusa, dicevo, ma è anche e forse soprattutto una dichiarazione d’amore. La ricerca di un cielo ancora buio, ancora pieno di stelle, è una necessità del cuore. Non è soltanto un vezzo per intellettuali annoiati, come vorrebbero farci credere. La bellezza, il significato, non sono agli ultimi piani di una piramide di Maslow perversa, subordinata alla produzione, all’arricchimento miope. Sono al contrario necessità, veri e propri diritti che appartengono a ogni uomo, e che meritano di essere difesi da chi li mette in pericolo.
Fra i capitoli emerge un interessante aspetto simbolico: il ribaltamento del significato comunemente associato alla luce. Da sempre il chiarore è un simbolo eminentemente positivo. E’ l’attributo delle divinità, è l’ingrediente principale di metafore morali. E’ sinonimo di acume mentale, di verità, di intuizioni. La luce è bene: è un’idea a tal punto intessuta nella nostra cultura, che difficilmente riusciamo ad accettare una prospettiva inversa.
I simboli, tuttavia, sono sempre duplici. Anche la luce – in un certo senso – ha un lato oscuro. Con sapienti indizi sparsi fra le pagine, Irene Borgna ci fa capire che l’illuminazione eccessiva diventa controllo sociale, eccesso di razionalità, falsa sicurezza. Smette di favorire la vista, e anzi diventa accecante.
Forse non esiste un principio unico, che sia buono in maniera così assoluta da poterlo moltiplicare all’infinito e sperare la sua sovrabbondanza rechi ancora beneficio. Ogni cosa deve trovare la sua giusta misura, l’equilibrio che le permette di integrarsi nella grande vita organica del cosmo. Se non sa stare al suo posto, se pretende di diventare l’unica forza a comandare, allora diventerà una piaga dittatoriale e iniqua. La luce non fa eccezione.