Archetipi del complotto: QAnon e l’accusa del sangue
In questi giorni diversi siti d’informazione e testate giornalistiche stanno parlando di QAnon, una recente teoria del complotto originatasi negli USA.
Da sempre provo un grande interesse per il complesso mondo del cospirazionismo e delle leggende metropolitane: ritengo che siano narrazioni analoghe a una mitopoiesi contemporanea, pur con tutti i distinguo del caso. Sull’argomento ho scritto un libro, a cui rimando chi è interessato ad approfondire l’argomento: La verità dei tempi. Teorie del complotto e miti contemporanei.
Anche l’emergersi e il diffondersi di Qanon, dunque, ha catturato la mia attenzione. Tuttavia ero restio a parlarne, perchè la discussione online di simili tesi rischia di alimentare il meccanismo secondo cui le stesse si diffondono, causando considerevoli danni psicologici, sociali e culturali.

C’è tuttavia in Qanon un tratto simbolico che è troppo importante per non evidenziarlo. Si tratta del nucleo stesso di questa teoria del complotto: il mitologema del sacrificio dei bambini.
Semplificando di molto la narrazione, la si potrebbe riassumere così: Donald Trump e il suo entourage sono in lotta contro il Deep State, una sorta di governo ombra satanico e pedofilo che comanda da dietro le quinte l’intero paese. Una delle accuse più grottesche e meno credibili – eppure è quella che sta raccogliendo maggior interesse, sia fra i seguaci di QAnon che fra i media – è che i potenti del Deep State abbiano organizzato una rete per rapire i bambini. Dal sangue dei bimbi sequestrati si estrarrebbe infatti una droga portentosa, l’adrenocromo: una sostanza che avrebbe effetti miracolosi, fra cui quello di mantenere un’eterna giovinezza in chi la consuma regolarmente.
Come spesso accade, la narrazione complottista ha un palese sostrato simbolico. I bambini sono il simbolo del futuro; sacrificarli, consumarli vampirescamente, significa negare le speranze legate al domani.
Non è un caso che, in questa deformazione dell’immaginario popolare, a consumare questo giovane sangue sia una classe dirigente che occupa saldamente i posti di potere, senza mai cedere i loro troni alle nuove leve.
E’ un sentimento di frustrazione ben noto, diffuso e trasversale. Pensate al mondo della cultura, delle arti o dello spettacolo, in mano a pochi baroni incartapecoriti. O ricordiamoci anche dell’accorato discorso di Greta Thunberg: “avete rubato i miei sogni e la mia infanzia“.
Le teorie del complotto spesso si radicano in queste frustrazioni collettive, in questo senso di insicurezza e rabbia. Lo fanno specialmente quando il livello culturale medio è tale da non permettere che tali sentimenti si esprimano in un discorso logico e costruttivo. Ecco allora che le stesse idee tentano comunque di parlare, ma lo fanno in modo inadeguato, figurativo. E soprattutto, dirottabile.
Quando il popolo manca di consapevolezza, giungono immancabilmente forze spregiudicate e corruttrici, che raccolgono i fermenti spontanei delle masse, li rielaborano e li trasformano in una narrazione allettante ma velenose. Lo fanno sempre e invariabilmente per il proprio tornaconto, per consolidare il proprio potere, senza badaer minimamente alla devastazione culturale che così stanno causando. Anzi: i danni nella consapevolezza sociale non fanno che rendere più facile questo genere di controllo.
La teoria di QAnon è proprio l’esempio di un simile decorso: è solo in parte spontanea, “nata dalla rete”: gran parte della sua architettura è studiata a tavolino da spregiudicati esperti di psicologia e di marketing; la sua diffusione è aiutata dai media e dai grandi canali di informazione, non si tratta certo soltanto del passaparola fra utenti.
E’ anche per questo che esitavo a trattare l’argomento. Quello che mi ha convinto, però, è la straordinaria banalità del suo mitologema cardine: l’accusa del sangue, una calunnia vecchia millenni, eppure sempre in auge.
Già nei primi secoli dopo la nascita del cristianesimo, un’accusa molto simile veniva rivolta ai seguaci della nuova religione. La troviamo riportata nell’Octavius, un testo apologetico del II sec., a opera di Marcus Minucius Felix:
“Chi poi va dicendo che il loro culto concerne un uomo condannato a morte per un delitto e il legno lugubre di una croce, ascrive a dei corrotti scellerati rituali che ben loro si adattano, cioè che adorino quel che si meritano.
Quanto alla iniziazione dei novizi, le dicerie sono tanto esecrabili quanto risapute. Un piccino, ricoperto di farina per trarre in inganno gli incauti, viene posto dinnanzi a chi deve essere introdotto ai riti; il novizio è invitato a infliggere colpi, che ritiene innocenti, visto che in superficie c’è la farina, e il piccino viene ucciso da quelle ferite inferte alla cieca e senza consapevolezza. Poi – orrore! – leccano quel sangue con avidità, dilacerano a gara quelle membra, con quella vittima stringono fra loro un patto, per la complicità in quel delitto si impegnano reciprocamente al silenzio. Questi sono i loro riti, più funesti di tutti i sacrilegi.”
Passano i secoli, gli attori si cambiano di ruolo, ma la stessa crudele recita si ripete. Nell’Europa medievale sono infatti i cristiani a passare dalla parte dell’accusatore. Si credeva infatti che gli ebrei praticassero un rito in cui veniva sacrificato un bambino cristiano, appositamente rapito in precedenza. In particolare si pensava che il sangue della vittima venisse usato dagli ebrei per preparare il pane azzimo per le celebrazioni di Pasqua. Per approfondire l’argomento si veda il discusso libro di Ariel Toaff, “Pasque di Sangue, Ebrei d’Europa e omicidi rituali” edizioni del Mulino, e lo studio di Furio Jesi, “L’accusa del sangue. La macchina mitologica antisemita”, edizioni Bollati Boringhieri.

D’altronde anche nella Bibbia si trovano accuse simili: il Signore stesso rimprovera i figli di Giuda, colpevoli di aver compiuto orrendi sacrifici in onore del dio Moloch: “Hanno costruito gli alti luoghi di Tofet nella valle del figlio di Innom, per bruciarvi nel fuoco i loro figli e le loro figlie“. (Geremia, 7:31 – per approfondire l’argomento, vedi questo mio articolo.)
Gli esempi potrebbero continuare.
Il filosofo siceliota Empedocle tuonava con parole crude: “Non cesserete dall’uccisione che ha un’eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente? Il padre sollevato l’amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l’implorante; ma quello, sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l’infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli e la madre, dopo averne strappata la vita, mangiano le loro carni.” (frammenti DK 31 B 137)
Nel XX secolo, similmente, la propaganda occidentale accusava i russi sovietici di mangiare i bambini.
Il fatto che l’accusa sia ricorrente, spesso evidentemente copiata, persino nei dettagli, ci fa capire che si tratta con ogni probabilità di una calunnia infondata. Un’insinuazione già pronta all’uso, che si ricicla perchè ha funzionato bene in passato. In questo senso, come abbiamo detto, l’accusa è del tutto banale.
Tuttavia bisognerebbe chiedersi: perchè questo orrenda calunnia torna sempre ad affacciarsi sulla storia? Perchè le masse sono sempre così pronte a crederci?
E’ vero che spesso c’è la spinta sostanziale della propaganda a contribuire alla sua diffusione – e di conseguenza alla sua credibilità, perchè quando una cosa si ripete con insistenza, finisce sempre per essere creduta. Ma bisogna anche dire che gli esperti della persuasione nera scelgono le proprie bugie fra quelle che trovano più facilmente terreno fertile nell’immaginazione popolare; quelle, per così dire, che offrono meno resistenza nel penetrare oltre il già labile senso critico delle masse.
Dunque, è lecito concludere che al ciclico ritorno dell’accusa del sangue, e alla sua grande capacità di penetrazione psicologica e culturale, corrisponda un analogo simbolo nelle profondità più cupe della nostra anima, sia a livello individuale che sociale.
Ed è esattamente questo il motivo che mi ha spinto a scrivere questo breve articolo. Se questo turpe simbolo attira la nostra attenzione e infiamma i nostri sentimenti, significa che ha potere su di noi. Ci spaventa e al tempo stesso ci affascina. Un magnetismo morboso, che non vorremmo mai ammettere, ma che influenza la nostra immaginazione, al punto di ripresentarsi ciclicamente mascherandosi da realtà.
Si rende dunque necessaria una dolorosa introspezione. Occorre cercare questo oscuro e vergognoso simbolo, dentro di noi, e alle radici della nostra cultura. Trovarlo e affrontarlo, comprendere e risolvere questa nostra ombra.
Se non ci lavoriamo, se non lo trasformiamo, resterà una narrazione compulsiva, una spinta di massa, irrazionale e prossima alla violenza; e quel che è peggio, facilmente utilizzabile da quei veri tiranni dell’ombra, che costantemente operano per far regredire il popolo pensante a una massa cieca, prevedibile e controllabile.