Simbologia delle discussioni su Facebook

I vaccini obbligatori. Il riscaldamento globale. Gli immigrati. Il Covid, il lockdown, le mascherine. Argomenti roventi, che infiammano la discussione. Nei talk show e nei giornali, fino ad arrivare ai social network e alle chiacchiere da pausa caffè: di volta in volta, c’è sempre un tema del giorno, una questione che monopolizza l’attenzione, tanto che praticamente chiunque si sente in dovere di dire la sua in merito.

Miniatura dalla Bibbia Maciejowski, ca. 1250

E’ un fenomeno di cui è facile accorgersi – specialmente negli ultimi tempi, in cui le proporzioni e il livore delle discussioni si sono innalzate a dismisura. Ma perchè, vi chiederete, ci stiamo occupando di simili discussioni in un blog dedicato alla simbologia?

Io sono persuaso che il pensiero simbolico sia un tratto innato nell’essere umano, uno dei meccanismi fondanti del nostro modo di essere, comprendere il mondo, agire. Il termine “innato” non deve farci pensare che il simbolo sia limitato alla sfera spontanea, quasi istintiva, della psiche: al contrario, proprio perchè è connaturato alla mente, il simbolo è la base della cultura, di quel tessuto condiviso di credenze e assunti che costituisce il collante di una società. Il simbolo, dunque, è un tratto trasversale del pensiero, sia nell’individuo che in una collettività.

Anche nelle discussioni su Facebook, dunque, si possono trovare le tracce del pensiero simbolico? A mio avviso, sì. Quando un no-vax si scorna con uno scientista, o nei litigi fra quelli che “se non porti la mascherina ti denuncio” e gli altri che “Il Covid è una cazzata”. Quando c’è convinzione inscalfibile, quando c’è livore: ecco, in quei casi, sotto sotto, sta agendo il simbolo.

Il simbolo è legame: lo abbiamo detto centinaia di volte, ma è un concetto così importante che vale la pena di ripeterlo ancora. Un ponte fra segno e significato, fra soggetto pensante e oggetto del pensiero, fra concetto e sensazione. Ma è anche, e forse soprattutto, un legame emotivo. Dietro il segno, dietro l’oggetto della discussione, c’è dunque tutto un complesso di valori, sentimenti, credenze. Spesso non ce ne rendiamo conto: ecco allora che difendiamo una posizione, magari con numeri e dati, citando esperti in materia. Ma in realtà non stiamo davvero discutendo riguardo chessò, la Lega Nord, o gli imballaggi di plastica. Il nocciolo della questione è altrove, più in profondo. Quello che facciamo in quel momento è proteggere quel nodo di emozioni e convinzioni che preserviamo nell’intimo, che fa parte del nostro modo di essere; un nucleo legato simbolicamente all’argomento di discussione.

Quando un legame simbolico carico di emozioni infiamma un argomento, il dialogo si trasforma in un battibecco. Non si ascolta più l’altro, si abbaia semplicemente la propria opinione, tentando di sopraffare l’altro. In questi casi la mia reazione iniziale è un misto di noia e disgusto, non lo nego. Anche verso chi abbaia come la penso io, eh. Il fatto è che è una dimostrazione di scarsa consapevolezza. Manca un’introspezione degna di questo nome, e per questo non ci si rende conto che l’argomento è legato a sentimenti profondi. Ancor peggio, non ci si accorge nemmeno di avere questi sentimenti, e quindi non si dà loro una voce. Schierarsi nella discussione del momento diventa dunque l’unico (ma inefficace) modo tramite cui queste emozioni possono esprimersi, seppur indirettamente, attraverso l’intermediazione del simbolo. Ed è anche per questo, dunque, che si difende così disperatamente questo unico canale, questo sbocco fra le radici dell’anima e l’aria aperta.

Dopo il fastidio iniziale, dunque, mi faccio forza, e cerco di analizzare meglio la questione. Come muoversi, in questi casi? Quello che suggerisco è di accantonare per un attimo la propria trincea. Non intendo dire che bisogna abbandonare le proprie idee, le proprie convinzioni. Si tratta di una tregua temporanea, per osservare il conflitto esternamente, sorvolando in un certo senso il fronte della battaglia. Scollegarci dal conflitto ci permette di chiedere: cosa significa? Il litigio verbale, lo scontro di opinioni, sono anche simboli: cosa esprimono? A che cosa sono legati?

Non ci si illuda che tramite una simile analisi si possa arrivare ogni volta a una soluzione del dissidio, magari a un tertium non datur fra le due opinioni. Il più delle volte, si rimane della propria idea: d’altronde, abbiamo appena visto che questa posizione è legata a un tratto fondamentale del nostro essere. Ma anche se, una volta terminata la tregua, torniamo nella trincea, almeno avremo una maggior consapevolezza delle radici profonde collegate al problema. E forse potremo iniziare un dialogo costruttivo, seppur dalle rispettive postazioni, invece di abbaiarci dai lati opposti di una ringhiera.

Funziona, questo metodo? Ahimè, no. O per meglio dire: se lo si applica, dà i suoi frutti. Ma è davvero difficile metterlo in pratica. Me ne accorgo quando tento di proporlo, quando cerco di spostare il fulcro dal conflitto in superficie al suo nucleo profondo. Inizio col dire esplicitamente: “lasciamo stare per un attimo le prese di posizione, analizziamo la questione prescindendo dal dover decidere chi ha torto o chi ha ragione”, o cose di questo genere. Il più delle volte, la risposta è un’opinione superficiale e abbaiata.
Prendiamo ad esempio “il riscaldamento globale è un’invenzione”. Potrei provare a scrivere su Facebook:
“Accantoniamo per un istante i fatti concreti, le statistiche, gli scienziati; analizziamo la questione da un punto di vista simbolico. Il prospetto del deserto che avanza ha radici bibliche, e ritorna con Nietzsche; il calore, il fuoco che avvolge l’intero mondo, è un archetipo che accomuna l’Apocalisse al Ragnarok e all’Ecpirosi degli Stoici. D’altro canto, la negazione di un futuro catastrofico è una risposta del tutto umana: se un problema si presenta in maniera troppo drastica, si reagisce con una difesa psicologica, sostenendo semplicemente che il pericolo non esiste.”
Ecco, a uno stimolo del genere, le reazioni sarebbero commenti tipo: “Il riscaldamento globale è un’invenzione, sono tutte balle”, oppure “Certo che è un problema, chi lo nega è un’idiota”. Bau.

E’ evidente che c’è un ostacolo all’introspezione simbolica. La coscienza, d’altronde, ha sempre una forte resistenza a calarsi nel profondo. Ma qui si inserisce anche un pregiudizio: l’equazione simbolo = finzione, fantasia, invenzione. Se ad esempio sostengo che il cambiamento climatico ha una forte natura simbolica, non significa che lo ritengo una favola, o un’allucinazione. Anche un fatto concreto può avere un significato simbolico, anche molto forte. L’incendio della chiesa di Notre-Dame, nel 2019, è stato un simbolo fortissimo e tremendo: ma ciò non significa che le fiamme fossero finte.
Purtroppo, la nostra società manca di una sana cultura simbolica: per questo, il solo fatto di accostare una notizia a un mito, o a una credenza antica, sembra di per sè un tentativo di screditarla.
Si rifiuta l’analisi simbolica del reale, ma ciò non significa che la carica simbolica connessa ai fatti attuali non ci sfiori: al contrario, come abbiamo visto, ci coinvolge ancora più intensamente, perchè non ne siamo consapevoli, e quindi ci sballotta come una marea che non vediamo, ma nella quale siamo immersi fino al collo.
Analizzare la simbologia di un conflitto, inoltre, non significa negare la portata concreta che questo problema può avere nelle nostre vite. Al contrario, può essere una marcia in più per comprenderlo, e forse anche risolverlo. Limitarsi a difendere un’opinione di superficie, invece, è un metodo garantito per non ottenere nulla di concreto e utile.

Come se non bastasse, nella discussione fra opinione opposte va a inserirsi un altro simbolo antico e potentissimo, un vero e proprio archetipo: il due.

Separazione, opposizione, la coppia di contrari. Il giorno e la notte, il bene e il male, il giusto e sbagliato. Un taglio netto, un muro, il filo spinato fra i due eserciti in lotta. Noi e loro. La verità, e gli idioti.

Gli argomenti creano separazioni, ma anche unione. Chi non la pensa come me è uno scemo; chi è della mia stessa opinione, invece, è “uno di noi”. E’ così che la discussione si polarizza. Si creano due blocchi opposti. “O con noi, o contro di noi”. Bianco e nero, non esistono sfumature, opinioni più strutturate, vie di mezzo. Se qualcuno tenta una terza posizione, verrà visto come un nemico, da entrambi gli schieramenti: “non è dei nostri”, e quindi parteggia per “gli altri”.

Negli ambienti dell’esoterismo si ripete spesso che “bisogna uccidere l’Ego“. Ma forse bisognerebbe fare attenzione anche al Nos. “Uccidere” questo falso noi, questo senso di appartenenza fittizia, questo tribalismo da stadio. Cerchiamo quasi con disperazione di appartenere a un gruppo, e forse anche per questo trasformiamo problemi importanti in slogan, in cori da tifoseria. Questa ricerca spasmodica, in fin dei conti, dimostra che ci manca una vera appartenenza, il senso di essere membri di una comunità viva e solidale. E infatti il “noi” di internet è un surrogato. Il “noi” di “abbiamo ragione” è effimero e illusorio: basta un soffio per farlo cadere.
“Guarda Alberto che bravo, è contro il blocco dei porti per gli immigrati”: è uno di noi. Ma poi, qualche settimana dopo – “Alberto ha scritto che il Covid non esiste”: gli tolgo l’amicizia.

Per concludere: il pensiero simbolico è una grande ricchezza, una delle risorse che ci rendono davvero umani. Ma anche una risorsa fenomenale può dare risultati deleteri, se la si impiega male. Possiamo scegliere. Vivere passivamente il simbolo, o imparare a dialogare con esso, a farlo brillare. Esprimerlo coi rutti, oppure forgiarlo in discorsi al tempo stesso civili e ispirati. Subire la dualità come un conflitto, o cercare di tramutarla in un dialogo, fino a trovare un ponte fra le sponde opposte.

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