Come in cielo, così in terra

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“Se ripetete un milione di volte il Padre Nostro, il Cielo vi concederà un desiderio, che verrà esaudito dall’Onnipotente in persona.”
Il monaco sollevò la testa dall’antico libro, e meditò su quanto aveva appena letto. Per dire il Padre Nostro si impiega circa dieci secondi (si potrebbe anche fare più veloci, ma poi si rischia di farfugliare e la preghiera non vale, magari devi ripeterla, e va a finire che per far di fretta stai più tempo). Un miliardo di secondi sono circa 2800 ore. Calcolando dieci ore di preghiera al giorno, ci si sta 280 giorni. Si può fare.
Come avrete capito, il monaco non era certo un campione di santità. Si era ritirato in monastero perché non riusciva a vivere nel caotico e competitivo mondo che chiamano “civiltà”. Ben presto però si era pentito, perché anche il monastero non è certo privo di regole e doveri. Insomma, il nostro monaco si sentiva estraneo in qualsiasi luogo, perché in fin dei conti gli mancava la forza d’animo per adattarsi alle situazioni in cui si trovava. Ciò nonostante, o forse per questo, covava nel suo cuore un malcelato egoismo.
«Chiederò a Dio un miliardo di Euro, così potrò comprarmi una bella villa in un’isola tropicale. Vivrò laggiù, da solo. Anzi, magari assumerò un paio di persone per pulire le stanze e governare la casa, ma dovranno lavorare mentre io sono in spiaggia a prendere il sole. Al lavoro, dunque!»
Il monaco prese fiato e «Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà» eccetera eccetera, e poi «Amen», nemmeno il tempo di tirare il respiro e via di nuovo, «Padre nostro, che sei nei cieli» e avanti così, fino a sera.
Una magra cena, il riposo notturno, e alle prime luci dell’alba subito ripartiva con le preghiere. Per ottenere il suo desiderio, il monaco trascurava tutti gli altri impegni previsti dalla regola. Dato il suo fervore, tuttavia, l’abate decise di chiudere un occhio, e lasciarlo alla sua concitata preghiera.
Passò una settimana, e poi un mese. La primavera si scaldò fino a diventare estate, poi agosto divenne settembre, i giorni divennero più corti e più freddi, fino a raggiungere dicembre. Era il giorno di Natale, quando il monaco finalmente completò il milionesimo Padre Nostro. Appena ebbe terminato l’ultimo Amen, un bagliore incredibile si accese nella sua cella. La luce era talmente forte da far tremare i muri, eppure in quella piccola stanza non c’era mai stato un silenzio così puro.

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Era un angelo del signore. Tre paia d’ali incorniciavano un volto impassibile, al tempo stesso severo e pieno d’amore. Parlò, senza muovere le labbra: «Esprimi il tuo desiderio, uomo.»
Il monaco stava per rispondere: “Voglio un conto in banca con un miliardo di Euro”. Poi gli venne in mente un’idea che al momento gli sembrò geniale: «Voglio che Dio esaudisca ogni cosa che gli chiedo nelle mie preghiere.»
Certo, perché limitarsi soltanto ai soldi?
L’angelo rispose con voce calma ed autorevole: «Così sia.» Scomparve come sparisce un’idea, che ora splende nella mente e un attimo dopo si nasconde nell’oblio.
Il monaco non poteva credere ai suoi occhi. Ora era onnipotente, o meglio, poteva chiedere qualsiasi cosa all’Onnipotente, ma a pensarci bene che differenza c’è?
Senza perder tempo iniziò la sua richiesta.
«Signore, ti prego, io voglio che a frate Giuseppe passi quella brutta tosse che si porta avanti da una settimana. Voglio che l’abate scivoli dalle scale, rompendosi il braccio, proprio oggi che doveva venire in visita il Vescovo.»
Il monaco si meravigliò delle sue stesse parole. Perché quelle strane richieste? E poi il vecchio frate Giuseppe non lo vedeva da una settimana, non sapeva neanche che avesse la tosse. E non aveva idea che oggi venisse in visita il Vescovo. Indaffarato com’era nelle preghiere, aveva completamente perso di vista la vita del monastero.
Cosa gli stava succedendo? Forse l’eccessiva preghiera gli aveva scombussolato il cervello. Prese fiato, poi ricominciò, deciso più che mai a chiedere una montagna di soldi e una villa ai Caraibi.
«Signore, io voglio che la signora Marina, quella che lavora in drogheria giù al paese, oggi si dimentichi di andare prendere i suoi figli quando finisce scuola.» Cercò di fermarsi, ma non riusciva: «e suo marito Giulio, voglio che oggi si addormenti in fabbrica, perché in realtà è malato ma non lo sa, eppure Adriano, il suo datore di lavoro, approfitterà dell’incidente per poterlo licenziare. Desidero che Marino, che lavora in comune all’anagrafe, vinca duecento euro col gratta e vinci. Prego che sua moglie per festeggiare gli faccia il petto di pollo impanato, che è il suo piatto preferito.»
Chi era questa gente? Perché il monaco esprimeva questi desideri assurdi, distribuendo equamente felicità e disgrazie, avvenimenti banali e sconvolgimenti assurdi? Eppure non riusciva a fermarsi, continuava a pregare chiedendo a Dio questi piccoli miracoli insensati, interferendo nella vita di gente che non conosceva.
Aveva la gola secca, eppure non riusciva a smettere la sua preghiera scriteriata. Decretò la sorte giornaliera di tutti gli abitanti del villaggio, sebbene non li conoscesse neppure di vista, e poi continuò col paese successivo. Smise soltanto a sera, quando crollò, ormai esausto, sul suo giaciglio.
Il giorno dopo il monaco si presentò al refettorio. Era la prima volta che ci tornava, da quando aveva iniziato la sua maratona di preghiera. I suoi fratelli lo accolsero con stupore, ma lui li zittì subito. Chiese con insistenza notizie del mondo esterno, ed in particolare del villaggio ai piedi del monastero.
«Ma, nulla di grave, il solito» – rispose stupito uno dei monaci – «c’è stato un incidente in viale, un’auto ha preso sotto un ragazzo in bici, ma per fortuna se l’è cavata soltanto con una gamba rotta.»
Il monaco sbiancò in volto. L’aveva chiesto lui: “Dio del Cielo e della terra, voglio che il giovane Matteo esca dallo stop senza guardare, e che l’auto guidata dal bidello Fabrizio lo centri, però spezzandogli solo il perone della gamba sinistra”.
Rimase in silenzio a riflettere, poi scoppiò a ridere. “E’ stato toccato da Dio”, pensarono i frati, che è un modo gentile per dire che è andato fuori di testa. Ma avevano più ragione di quanto credessero, e il monaco lo aveva capito.
No, non aveva chiesto lui di far accadere l’incidente. Quel che doveva succedere era già stato decretato dalla misteriosa volontà divina. Quello, e tutti gli altri fatti e fatterelli che componevano le sue assurde preghiere. Non era lui ad imporre la sua volontà a Dio, ma il contrario. Tutte le sue preghiere si avveravano, ma soltanto perché le sue parole si adeguavano al volere del Signore.
Dio mi ha imbrogliato, pensò lì per lì, ma si rese subito conto che non era così. “Voglio che Dio esaudisca ogni cosa che gli chiedo nelle mie preghiere”: e non aveva forse pregato un milione di volte, “Sia fatta la tua volontà?”
Cercò di pregare Dio perché gli togliesse quel dono insostenibile. La volontà dell’Onnipotente è troppo vasta ed incomprensibile perché un uomo possa capirla, troppo pesante per portarla sopra le nostre deboli spalle. Non ci riuscì: nella preghiera chiese invece che il prefetto firmasse un’ordinanza per chiudere al traffico una via del centro storico di una città lì vicina.
“Dio ha voluto punire il mio egoismo”, pensò. Poi si corresse: “Dio ha annientato il mio egoismo. Lo ha usato per adescarmi, per indurmi in una preghiera in cui altrimenti non mi sarei mai impegnato. Ma la preghiera mi ha cambiato, lentamente ma inesorabilmente, come l’acqua di un torrente che scava la pietra. Il mio stesso desiderio ha lavorato per auto-annientarsi, ed ora non riesco più a desiderare secondo l’uomo, ma solamente secondo il Cielo. Dio mi aveva già catturato, ben prima che io chiedessi all’angelo quell’infausto desiderio.”
Il monaco pensò di tornare in libreria, per strappare quella pagina del manoscritto antico, quella luminosa tentazione che suo malgrado lo aveva ricondotto al Cielo. Non gli riuscì nemmeno quello: il suo corpo si mosse verso la cella, e lì cadde in ginocchio, con il capo chino e le mani conserte.
Per il resto della sua vita il monaco passò le giornate a chiedere al Signore cose che Egli aveva già decretato, finché un giorno finalmente gli riuscì di dire, con l’ultimo fiato che gli restava: «Padre, voglio tornare da te.»

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