Il pasto del serpente

Certe immagini possiedono una forza vitale, che le rende in grado di passare dal confuso mondo dei sogni alla bellezza dell’arte, e da lì rituffarsi nel profondo mare dell’anima umana. Sono così al contempo antiche e sempre nuove; rimangono sè stesse, eppure il loro messaggio è sempre attuale.

Sarcofago di Giona (280-300 d. C.) - Necropoli vaticana

Sarcofago di Giona (280-300 d. C.) – Necropoli vaticana

Un serpente divora un essere umano: antico incubo, che appartiene proprio a questa categoria archetipica di visioni ancestrali.
Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti.” (Giona, 2:1)

Le apparenze possono cambiare. Il mostro può essere una serpe o un drago, un pesce, o persino una balena, come nella fiaba di Pinocchio.  Ciò che non varia è il significato: in ogni caso, il divoratore è un’immagine concreta dell’Abisso, come se la Notte primordiale prendesse corpo per reclamare a sè la vita.

Il ventre del mostro sembra una prigione senza via di fuga, una tomba in cui la luce si spegne e la vita si dissolve. Proprio al culmine della disperazione, tuttavia, si intravede il ritorno alla salvezza:
Il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto.” (Giona, 2:11)

Sarcofago di Giona (280-300 d. C.) - Necropoli vaticana

Sarcofago di Giona (280-300 d. C.) – Necropoli vaticana

Uscire dalla bocca del serpente diventa quindi il simbolo di una nuova nascita, il nuovo inizio di chi credeva d’aver perduto ogni cosa.

Plate with the Visconti arms

Piatto in maiolica con lo stemma araldico dei Visconti, (1480-1500)

Il Biscione, lo stemma della famiglia Visconti, raffigura un uomo divorato da un grosso serpente. Alciato, nel suo celebre libro di Emblemi, lo descrive con queste parole:
Un bambino che balza fuori dalle fauci di un serpente sinuoso
è il nobile stemma della tua gente.
Vedemmo che simili insegne portava il re di Pella
celebrando con queste la sua stirpe,
mentre si dichiarava figlio d’Ammone, di madre sedotta
dalla parvenza di un serpente, discendenza di seme divino.
Uscì dalla bocca: narrano che così partorissero certi serpenti,
o perchè Pallade sorse in tal modo dalla testa di Giove?” (Emblema I)

Osserviamo in dettaglio il pasto del serpente:
Plate with the Visconti arms

I capelli dorati sembrano raggi di luce, e l’aspetto solare di questa criniera leonina è innegabile.

Se nasce ora l’idea che il sorgere insanguinato del sole sia una nascita, inevitabilmente viene da chiedersi chi ne sia il padre, di chi questa donna sia rimasta incinta. E poichè questa donna simboleggia la stessa cosa del pesce, cioè del mare (in quanto partiamo dal presupposto che il sole tramonta nel mare così come dal mare esso sorge), la risposta naturale è che questo mare ha in precedenza inghiottito il vecchio sole. Si forma allora il mito conseguente che, poichè la donna «mare» ha in precedenza inghiottito il sole e ora dà alla luce un nuovo sole, evidentemente è così che essa è rimasta in cinta” (Leo Frobenius, Das Zeitalter des Sonnengottes, citato in “La libido, simboli e trasformazioni”, di Carl Gustav Jung)

Dettaglio dal Livre de Drapeaux di Pierre Crolot (1647-1648)

Il biscione visconteo – dettaglio dal Livre de Drapeaux di Pierre Crolot (1647-1648)

Il simbolo è sempre lo stesso, ma la forma si adegua ed il suo messaggio si declina a seconda del tempo.
Il serpente divoratore è ad esempio una delle tappe del viaggio dell’eroe.
Ne “L’eroe dai mille volti”, Joseph Campbell elenca una serie di miti in cui il protagonista entra nel ventre del mostro:
Il concetto che fa del varco della magica soglia un passaggio in una sfera di rinascita ha il proprio simbolo nell’immagine, diffusa in tutto il mondo, del ventre della balena. L’eroe, anziché sgominare od ingraziarsi i guardiani della soglia, viene inghiottito nell’ignoto, e viene ritenuto morto.
Gli eschimesi dello Stretto di Bering raccontano la storia dell’eroe burlone chiamato Corvo, il quale un giorno, mentre sedeva su una spiaggia ad asciugare i propri abiti, scorse una balena che nuotava lentamente vicino alla spiaggia. Corvo le gridò : «La prossima volta che vieni alla superficie a prender aria, mia cara, apri la bocca e chiudi gli occhi.» Poi si mise svelto svelto gli abiti e la maschera di corvo, raccolse sotto il braccio i bastoni per il fuoco, e spiccò il volo sull’acqua. La balena venne a galla e fece come le era stato detto. Corvo si infilò fra le mascelle spalancate e arrivò diritto nello stomaco. La balena chiuse la bocca di colpo e lanciò un urlo; Corvo rimase nello stomaco e si guardò attorno.
Gli Zulu narrano invece la storia di due fanciulli e della loro madre inghiottiti da un elefante. Quando la donna giunse nello stomaco dell’animale vide vaste foreste e grandi fiumi, e molte montagne; su un lato v’erano molte rocce; e su di esse v’erano molte persone che vi avevano costruito il proprio villaggio; e molti cani e molti buoi; tutto ciò nello stomaco dell’elefante.
L’eroe irlandese Finn MacCool venne invece inghiottito da un mostro di forma imprecisata, del tipo noto presso i celti col nome di peist. Cappuccetto Rosso, la bimba della favola tedesca, venne mangiata dal lupo. L’eroe prediletto dei polinesiani, Maui, venne ingoiato dalla sua trisavola, Hine-nui-te-po. E l’intero pantheon greco, con la sola eccezione di Zeus, venne divorato dal proprio padre Kronos.

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Giasone viene rigurgitato dal serpente posto a guardia del Vello d’Oro – Coppa del V sec. a.C., ritrovata a Cerveteri

L’eroe greco Ercole, sostando a Troia mentre faceva ritorno in patria con il cinto della regina delle Amazzoni, apprese che la città era perseguitata da un mostro inviato dal dio marino Poseidone. Questo mostro soleva inoltrarsi sulla spiaggia e divorare le persone che incontrava. Proprio quel giorno il re aveva legato agli scogli la propria figlia, la bella Esione, quale sacrificio propiziatorio, ed Ercole consentì a salvarla in cambio di una ricompensa. Quando il mostro affiorò alla superficie e spalancò le enormi fauci, Ercole si tuffò nella sua gola, penetrò nello stomaco e lo uccise.
Questo motivo popolare conferma e sottolinea il concetto che il varco della soglia è una sorta di autoannientamento. La somiglianza con l’avventura fra le rocce Symplegades è del resto evidente. Ma qui, invece di procedere verso l’esterno, oltre i confini del mondo visibile, l’eroe muove verso l’interno per rinascere. La sua scomparsa corrisponde all’ingresso del fedele nel tempio – dove si sovverrà di chi e che cosa egli è, null’altro che polvere e cenere. Il tempio interiore, il ventre della balena, e la terra beata che giace oltre i confini del mondo, sono la stessa cosa. Ecco perché le porte dei templi sono fiancheggiate da colossali cariatidi: draghi, leoni, sgominatori di demoni con la spada sguainata, nani risentiti, tori alati. Sono i guardiani della soglia incaricati di vietare l’accesso a coloro che non sono in grado di affrontare l’infinito silenzio che è all’interno.

Questa importantissima funzione rigenerativa fa sì che questa forma non sia confinata al mondo dei miti, ma si trovi anche alla base di rituali d’iniziazione e di sacrificio.

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Il dio azteco Quetzalcoat, dal Codex Telleriano-Remensis

 

Il drago divoratore si incontra anche nella simbologia cristiana:

Santa Margherita, Bottega di Agnolo Gaddi, 1390

Santa Margherita, Bottega di Agnolo Gaddi, 1390

Secondo la Legenda Aurea da Jacopo di Varagine, “Santa Margerita per difendere la fede viene torturata e rinchiusa in prigione dal prefetto di Antiochia, che voleva convertirla al paganesimo. In prigione Margherita si trova faccia a faccia con il demonio.
Quando Margherita fu lì (in prigione) pregò e chiese a Dio di mostrargli materialmente il nemico che combatteva contro di lei: ecco che apparve un grande drago, che le si slanciò contro per divorarla, ma sparì non appena Margherita fece il segno della croce. Altrove si legge che spalancò la bocca sul suo capo, le mise la lingua dietro il calcagno e la inghiottì d´un colpo: ma mentre la stava trangugiando, Margherita si armò del segno di croce, e in grazia della croce il drago si squarciò e la vergine uscì illesa.
Anche la prigione è un simbolo; si potrebbe quasi considerarla un sinonimo del ventre del drago. Entrambi esprimono il medesimo stato dell’essere in cui versa il peccatore. Non è un caso che l’origine della parola “cattivo” sia nel termine latino “captivus”, che indicava proprio i prigionieri di guerra.
Anche il battesimo cristiano riprende lo schema della discesa nell’abisso. La risalita alla luce è garantita proprio dal simbolo della croce, che rappresenta il sentiero di ritorno, il percorso tracciato dal Cristo quando tornò dalla morte alla vita.

L’eco di quest’antica immagine si trova anche nell’alchimia, in cui ricorrono simboli affini, quale ad esempio il celebre Leone Verde che divora il Sole:

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Il Leone Verde divora il Sole – dal Rosarium philosophorum (XIII sec.)

Non sempre comprare un mostro divoratore; a volte è l’acqua stessa, o una figura analoga, a sciogliere il Re. E’ sempre un dissolvimento a cui segue una nuova creazione, secondo il noto adagio alchemico “Solve et Coagula”. In Psicologia e Alchimia, Jung descrive questo simbolo paragonandolo proprio al ventre del drago:
Nel mito dell’eroe questo stato corrisponde all’ingoiamento nel ventre della balena (o del drago): dove regna di solito un calore tale che l’eroe perde i capelli, rinasce calvo, glabro, simile a un lattante. Questo calore è l’ignis gehennalis, l’inferno nel quale è disceso anche Cristo per trionfare della morte, ciò che fa parte della sua opera. Il filosofo fa il suo viaggio agli inferi come redentore. Il fuoco occulto è l’interno contrario dell’umidità fredda del mare.

Come recita il XXIV Epigramma dell’Atalanta Fugiens di Michael Maier, “Un lupo ha divorato il re, e venendo bruciato lo restituisce alla vita“.

L0029174 M. Maier, Atalanta fvgiens, hoc est emblemata...

Michael Maier, Atalanta fvgiens, (1618) 

Il corpo del Re, privo di respiro, viene gettato al lupo quando questi è voracemente affamato; non affinchè il lupo consumi ed annienti il Re, ma perchè con la sua morte il lupo gli renda la forza e la vita.” (ibid.)

 

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