Perdersi nel Toro
Il Toro di Falaride era un antico strumento di tortura. Il disgraziato di turno veniva rinchiuso in una statua di metallo raffigurante un toro, sotto la quale veniva acceso un fuoco; così il malcapitato moriva arrostendo lentamente.
Falaride era un tiranno di Agrigento vissuto nell’antichità. Perillo, scultore di bronzi ateniese, gli consegnò il crudele strumento, ma invece di ottenere una ricompensa finì per essere la prima vittima della sua creazione.
Si dice che la statua del toro avesse un buco sulla bocca, in modo da convogliare i lamenti del torturato, quasi fossero i muggiti della bestia metallica.
Il toro è un simbolo antico e potente, che ricorre nell’immaginario sacro e mitologico di moltissimi popoli.
Le prime raffigurazioni del toro si incontrano già nel Paleolitico, come ad esempio nelle celebri pitture di Lascaux. Lo si ritrova nei miti sumeri e nelle immagini delle divinità egiziane; ma è soprattutto nella civiltà minoica che il simbolo del toro assume un’importanza centrale.
Presso i Greci poi il toro era una delle molteplici manifestazioni di Zeus. Il dio dei fulmini si mutò in tali sembianze per rapire Europa; è a questo episodio si ricollega la costellazione del Toro.
La scelta di un immagine così ricca di significati ci suggerisce che dietro il paravento della tortura potrebbe nascondersi un processo più profondo.
Entrare nel simbolo del toro significa dissolversi nell’archetipo della divinità primordiale, quella forza ancestrale in cui lo spirituale ed il bestiale non sono ancora differenziati. E’ una regressione pericolosa, perchè significa abdicare la propria umanità; e come tale è anche una tentazione irresistibile, perchè essere umani comporta una responsabilità molto, troppo pesante da sopportare.
Anche il fuoco che brucia sotto il toro di metallo ha una funzione simile. E’ un agente di trasformazione: consuma ciò che è transitorio, e lascia intatto ciò che è eterno. L’uomo vi muore, e fra le sue ceneri si libera un divinità antica ed inumana.
Possiamo forse vedervi una traccia di un’antico rito, in cui l’iniziato entrava nell’immagine animale del dio?

Immagine tratta da “Die Alten Jüdischen Heiligthümer, Gottesdienste und Gewohnheiten” di Johann Lund; 1738
E’ difficile scindere la storia reale dalle fantasiose ricostruzioni successive. E’ ad ogni modo indicativo che i riti dedicati al dio Moloch prevedessero una statua della divinità in forma di uomo-toro, al cui interno bruciava un fuoco, su cui venivano sacrificati dei bambini.
Nel pantheon olimpico, il simbolo del toro non era legato soltanto a Zeus; il bue era sacro anche Poseidone. E’ celebre in tal senso il mito della nascita del Minotauro.
Minosse, il re di Creta, pregò Poseidone di donargli un toro, quale segno del benestare divino nei confronti del suo regno. Il re si impegnò a sacrificare l’animale al dio del mare; ma quando vide il toro, bianco e possente, Minosse decise di tenerlo per sè, sacrificando un altro toro al suo posto.
Per punirlo, Poseidone fece innamorare del toro Pasifae, la moglie di Minosse.
Per unirsi carnalmente con l’animale, Pasifae convocò Dedalo, che le costruì una vacca di legno, vuota all’interno. Così la regina potè entrare all’interno del simulacro, e farsi ingravidare dal toro bianco.
La dinamica degli avvenimenti ricorda molto l’immagine del toro di Falaride. In entrambi i casi l’essere umano entra nell’immagine bovina; mentre il maschio vi trova la morte, la donna si dona completamente all’animale-dio.
L’invincibile desiderio della regina non è certo una scelta volontaria: essa soccombe ad un’incantesimo divino. Allo stesso modo, anche Europa abbandona ogni difesa nel momento in cui vede Zeus nelle sembianze di un toro. Può l’umanità resistere al richiamo del dio ancestrale?
La vacca di Dedalo ebbe conseguenze non meno funeste del toro di Falaride. Dall’innaturale amplesso nacque il Minotauro, celebre mostro dell’antichità, metà uomo e metà toro.
Non è un caso che il Minotauro venne rinchiuso nel labirinto, anch’esso creato da Dedalo: uno dei significati simbolici del labirinto riguarda infatti proprio l’Uomo che ha smarrito sè stesso…
“Il regressus ad uterum è anche al centro della cerimonia Hiranya-Garbha, letteralmente «embrione d’oro». Si introduce il candidato in un vaso d’oro a forma di vacca e all’uscita lo si considera come un neonato.”
(Mircea Eliade, Mito e Realtà)